Ogni riferimento è puramente casuale, ma quel prezioso silenzio di cui Grillo ci ha fatto gradito omaggio in questi ultimi giorni di agonia istituzionale, è stato ieri improvvisamente interrotto da una temposta (tempesta di post) presto tracimata sulle prime pagine dei quotidiani, a secco di notizie per via dell'incombente week-end.
Che dice dunque l'ortottero?
Parlando come un dio Giano bifronte, prediligendo delle due la retrostante, tra una frecciata a Giggino 'a cartelletta e un'impuntatura circa il limite dei due mandati, il Sommo si lamenta del brutto spettacolo offerto nei giorni scorsi dal Parlamento italiano. In particolare delle brutte facce dei parlamentari: «gente che è lì da 30 o 40 anni», un Parlamento come «non se lo merita nemmeno l’ultimo degli Italiani».
Prudentemente scordandosi, tuttavia, che all'interno di quel Parlamento figlio di una legge elettorale che ha cancellato la libertà di voto per sostituirla con la nomina diretta di senatori e deputati per mano dei partiti, i cinquezampe rappresentavano la maggioranza relativa. Non solo: il suo movimento è stato la sola forza politica ininterrottamente presente nei tre governi che il Parlamento ha espresso nel corso della legislatura. Non c'è pertanto legge, norma o provvedimento, o proposta di modifica costituzionale, che le sue truppe non avessero potuto avviare e portare a termine.
Se solo lo avessero voluto.
Ma si son guardate bene dal volerlo. Preferendo lasciarsi trasportare dalla dominante corrente parafrancescana e «pensare ai poveri» (il 5% delle popolazione, peraltro tutelato nell'Italia cattolica come in nessun'altra nazione al mondo). E, per il resto, non pensare a nulla: né a raccogliere l'immondizia dalle strade di Roma, né a costruire strade, porti, aeroporti e ferrovie, né ad elevare il tasso di istruzione nel Paese, né a correggere gli scempi di una sanità finita tra le voraci fauci delle Regioni, né a definire una collocazione certa dell'Italia nel contesto internazionale. Cancellando dal loro dizionario la parola SÌ a favore di un NO permanente e a prescindere, confidando sul fatto che, di fronte a qualsiasi proposta, i contrari siano sempre e comunque in numero superiore ai favorevoli.
A meno che, come nella migliore tradizione sanculotta (più culotta che santa) non si tratti di additare a tricoteuses e plebi affamate di linciaggi un nemico anche immaginario, purché altolocato: dagli incolpevoli Benetton ai precedenti governi, dalle «multinazionali» ai «poteri forti», dagli Stati frugali (ex plutodemocratici) all'«Europa». Tanto da giungere a tagliarsi tafazzianamente i seggi e ridurre le due Camere a un'assemblea condominiale, con gravi ripercussioni sulle quote di rappresentanza territoriale.
Dov'erano a quel tempo i grilli, quando i «ragazzi» giocavano a fare i parlamentari e qualcuno andava a scuola di tonno?
A differenza del saggio grillo parlante, il furbo grillo ligure è ora tacente, ora parlante, secondo le convenienze. Sta al riparo durante le tempeste, ma torna allo scoperto quando la furia degli elementi si placa.
Il grillo ligure è persino capace di quella che lui chiama «autocritica», ma che, a giochi finiti, sarebbe più corretto definire lacrime di coccodrillo: «L’Italia si merita una legge elettorale, proporzionale con lo sbarramento, si merita una legge sulla sfiducia costruttiva, si merita tante cose e noi non siamo riusciti a farle: mi sento colpevole anche io. Ma abbiamo fatto qualcosa di straordinario: sono tutti contro di noi».
Ribaltando putinescamente quell'indiscutibile verità che sta sotto gli occhi di tutti: è stato il suo movimento a mettersi deliberatamente contro il governo, e non il mondo intero contro Conte.
Ora però, non è più tempo di parole ma di numeri. E i grilli, soprattutto quando parlanti, dispongono notoriamente di molte più parole che numeri.
Altri cadaveri (politici) si profilano all'orizzonte. Altri avvoltoi (politici) ne trarranno sostanzioso nutrimento.
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