I fatti son questi. Il senatore Salvini, posto a capo di un partito che (formalmente) sostiene il governo, annuncia un suo viaggio in Russia. Uno dei tanti. Scopo del viaggio parrebbe un lombardissimo ghe-pensi-mì, della serie: se nessuno c'è riuscito, nemmeno il Papa, perché non potrei essere io quel superman in grado di guardare Putin negli occhi e firmare con lui non solo la pace, ma il futuro assetto geopolitico del pianeta?
Tanta modestia, dopo l'immane figuraccia rimediata in Polonia, dove senza tanti italici distinguo gli fu pubblicamente rinfacciato il trascorso (?) innamoramento per il dittatore russo, è apparsa a molti sospetta. Ancor più quando, nei giorni a seguire, il mondo scoprirà che lo statista padano è stato gradito ospite per almeno tre volte nei salotti dell'ambasciatore russo in Italia.
Tanto basta perché si scateni la bufera! Non solo da parte dei più feroci oppositori, ma finanche dai più fidi sodali, a partire dall'attento e concreto Giorgetti per finire con la futura padrona Giorgia Meloni.
Salvini, vista la mala parata, muta come di consueto la felpa in tutù e si esibisce in una delle sue migliori specialità: il balletto dalle molteplici piroette, inchini e giravolte, sulle note dell'io-non-c'ero, e se-c'ero-non-sapevo, scaricando buona parte delle colpe sul neoconsulente Capuano (tanto accorto da servirsi per i suoi traffici della faccendiera vaticana coinvolta nello scandalo Becciu), e aggiunge gaffe a gaffe: spacciando per personale vittoria la partenza della prima nave russa dal porto di Mariupol, ignaro del fatto che non traboccasse di cereali per i Paesi poveri, ma dell'acciaio trafugato agli Ucraini dai depositi dell'Azvotal, distrutti dalle bombe.
Tra un passo avanti, due di lato e tre indietro, il Nostro annuncia allora di voler (forse) rinunciare al suo viaggio di pace.
Al cospetto di tanto sfacelo, pietosa giunge una mano dal Cremlino, che sulle pagine del «Moskovskij Komsomolets» (quotidiano di proprietà del capo della Sezione informazione e Media, alle dirette dipendenze di Putin) titola a tutta pagina «Salvini costretto a rinunciare al suo viaggio». Giusto per sottolineare sotto quale regime dittatoriale sia costretta a vivere l'Italia.
L'elegante balletto dell'elefante in cristalleria ancora non si è concluso, e i cocci son già dovunque. Draghi minimizza; la Farnesina è all'oscuro di tutto; il Copasir si attacca al polpaccio del Papeetaro e non lo molla; la Meloni gli volta le spalle; Capuano, la nuova «bestia», ne esce male, degradato a bestiola; Letta salta sulla sedia e chiede chiarimenti; Calenda lo etichetta «suddito di Mosca»; il sinistro Frate Gianni gli nega la patente di pacifista...
I soli ad applaudire pubblicamente lo statista lumbard sono Putin e Orsini.
A questo punto le spiegazioni non possono essere che due: 1) Putin desidera a qualsiasi costo la pace e ritiene che la sola persona al mondo con cui poterne discutere sia il cattotrumpadano Salvini. Ergo lo corteggia tramite il suo ambasciatore a Roma e lo invita al tavolo del Cremlino (quello di dimensioni omologate per partite di calcio e gare di Formula Uno) affinché a nome del mondo intero il lumbard apponga una croce sotto il trattato di pace universale; 2) Putin è fermamente convinto che Salvini sia un baluba a poco prezzo, e intende sfruttarlo per gettare lo scompiglio in Italia e in Europa, dividere il governo dall'interno e aggiungere un elemento di instabilità che rallenti l'azione occidentale contro la Russia.
Dobbiamo onestamente confessarvi che sull'argomento una nostra idea noi ce l'avremmo. Ma non chiedeteci di esprimerla. Agli angeli non è consentito pensar male.
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