La differenza non è da poco. Perché in mancanza di una vera e propria guerra non può esistere una vera e propria pace, e la sola opzione possibile per l'aggredito resta pertanto quella di scomparire, oppure di ricacciare indietro l'invasore
Possiamo chiamare «guerra» quella di Putin contro l'Ucraina? Certamente no. Una guerra consiste in un conflitto armato tra due contendenti di pari peso, come usa nella boxe, dove ciascuno dei pugili ne dà e ne prende grosso modo in egual misura. Ne discende che, onde poter definire «guerra» lo scontro in atto tra Russi e Ucraini, dovremmo veder morire non solo i civili ucraini, ma anche i civili russi; veder rase al suolo non solo le città ucraine, ma anche quelle russe. E via distruggendo. Ma si dà il caso che il solo territorio bombardato sia quello ucraino, mentre non una sola pietra è stata lanciata dagli Ucraini oltreconfine. Dunque non di vera e propria guerra si tratta, in questo caso, ma di invasione, e ciò spiega la posizione formalmente intransigente di Zalensky, che ad altro non può mirare se non alla liberazione del suo Paese. Se non vorrà diventare il mezzo presidente di una mezza nazione, di fatto sottomessa all'ingombrante vicino.
Possiamo invece chiamare «guerra» quella che Putin ha dichiarato all'intero Occidente? Certamente sì, sebbene per nostra fortuna si tratti (al momento) di una guerra fatta soltanto di parole, seppur di non poco peso ed estranee ad ogni ritualità diplomatica, alle quali si uniscono alcune deboli ritorsioni economiche bilaterali. Ma i danni sono in questo caso reciproci, e lo scontro è tra pugili di comparabile livello. Una pace sarebbe dunque in questo caso certamente possibile, se solo si capisse il perché di tanta acrimonia da parte di Putin nei confronti di un Occidente che contro di lui non ha fatto niente di peggio se non vendergli costosissimi giubbotti e spacciare discutibili panini con patatine.
Ma è proprio questo attacco a bocca armata che preoccupa oltremodo l'Occidente. Perché lascia aperto il sospetto che l'invasione ucraina non sia in realtà che la prova generale di qualcos'altro, insieme con l'assoluta necessità di Putin, in vista di un conflitto su più vasta scala, di impadronirsi del Mare di Azov: ultima possibilità (svanito il sogno del Baltico) per dotarsi di una significativa flotta navale, che vada oltre quei quattro sommergibili oggi costretti a vagabondare e a nascondersi in mancanza di acque sicure.
Occorre pertanto tener ben distinti i due livelli dello scontro: il conflitto Putin-Ucraina e le frizioni Putin-Occidente. Avendo ben chiaro che un'eventuale capitolazione dell'Ucraina non accenderebbe in Putin alcuna rinnovata simpatia per l'Occidente, da mesi duramente minacciato e attaccato. Così come una miracolosa liberazione dell'intero territorio ucraino da parte di Zalensky non attenuerebbe le preconcette ostilità di Putin verso di noi.
Indebolire Putin, con un'efficace resistenza armata ucraina, unita ad un progressivo isolamento economico, diplomatico e politico per mano occidentale, sembra l'unica via al momento percorribile.
In attesa che se ne costruiscano di nuove.
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