L'ultima che ci è stato dato di osservare è quella di un capopartito di governo impegnato in spassosi rivolgimenti e contorcimenti, al solo scopo (almeno si spera) di divertire i suoi padroni e far cadere il governo.
Riassumiamo.
L'Unione Europea — che in quanto alleanza tra Stati, e non Stato federale essa stessa, non era affatto tenuta a farlo – ha dato vita a un piano comunitario (Recovery Plan for Europe) che, sommato al Next Generation EU, si propone di elargire 2.018 miliardi di euro per dare un forte stimolo all'economia europea, sofferente per la pandemia.
L'italico stellone ha fatto sì che, stante l'Italia all'epoca della redazione del Piano il Paese più colpito, spettasse ad essa la fetta più grossa della torta: ben 235,12 miliardi sui 750 stanziati dal solo Recovery Plan.
Ovviamente, onde assicurarsi che tali fondi fossero effettivamente destinati allo sviluppo degli Stati membri, e non ad arricchirne i governanti, il Piano prevede un dettagliato percorso di spesa, con indicati modi, importi e termini, da sottoporre a preventiva approvazione del Consiglio Europeo e ad altri controlli in corso d'opera.
L'Italia riesce non si sa come a presentare un suo Piano nazionale (PNRR) e a farlo approvare.
Il più sembrerebbe fatto. Ma, come d'uso in quel simpatico Paese che il nostro Capo ha quasi per scherno voluto foggiare in forma di stivale, il problema sta sempre nel meno, e non nel più.
Così, ora che c'è da suonare lo spartito tanto accuratamente scritto, provato ed approvato, metà dei suonatori si rifiuta di eseguirlo.
Primo movimento: Concessioni a Concorso. Rivolta dei Papeetiani.
Secondo movimento: Aggiornamento del Catasto. «Che si attacchino al tram», risponde il trombone capopartito nordista.
Terzo movimento: Transizione energetica. «No al termovalorizzatore a Roma», si inalbera la spazzatura.
Giustamente, il direttore d'orchestra impone il rispetto di quanto scritto. In caso contrario, appurata l'inutilità del suo starsene scomodamente appollaiato sul podio, non avrà alcun problema a posare la bacchetta e lasciare agli anarcosuonatori ogni responsabilità della loro non-esecuzione.
Questo perché nessuna persona dotata di una quantità di neuroni superiore a uno può dubitare che un Paese europeo, nel 2022, pensi di potersi spartire tra amici il bene pubblico, come gli immobili di dieci piani affittati a 30€ al mese (quando non addirittura lasciati impunemente occupare), gli ettari di spiagge concesse a 100€ a stagione, le sorgenti d'acque termali e minerali al costo di una cassa di bottiglie, anziché far sì che lo sfruttamento di tali ricchezza venga posto a concorso. Non solo affinché lo Stato veda giustamente remunerato l'uso del bene pubblico, ma anche e soprattutto per migliorare nel tempo la qualità dei gestori e della gestione.
Allo stesso modo non è immaginabile che uno Stato, al pari di qualsiasi impresa o bottega, non rediga annualmente un dettagliato inventario di quanto è contenuto dentro le mura. Indipendentemente dal fatto che esso possa essere tassato oppure no. Se gli edifici abusivi (la metà degli immobili in Italia?) non hanno finora pagato né IMU né TARI, è possibile che sia giunta l'ora di mettersi in regola, se si vuol essere considerati a pieno titolo uno Stato Europeo del Terzo Millennio.
Rinunciare poi al trattamento in loco dei rifiuti di una città delle dimensioni di Roma, al di là delle negative ripercussioni sulla qualità della vita di chi ci abita e le narici di chi la visita, mette ogni giorno in movimento migliaia di automezzi per spostare la spazzatura raccolta verso molteplici destinazioni in Italia e all'estero, con ingiustificato consumo di carburante e di denaro.
Così, alla vigilia di quel 30 Giugno 2022, termine ultimo per la realizzazione di quanto deciso a partire dal 2018, poco o nulla è stato fatto, e ancor minore pare la voglia di farlo.
I finanziamenti UE (buona parte a fondo perduto) andranno dunque persi, e con essi il buon nome dell'Italia, così faticosamente recuperato nei due anni di buongoverno imposti dalla pandemia?
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